Studio legale: risposarsi dopo il divorzio

risposarsi dopo il divorzioLa risposta al nostro interrogativo varia a seconda che a voler contrarre nuove nozze sia la donna o l’uomo.

Infatti, se l’uomo è libero di risposarsi subito dopo il divorzio con l’annotazione nei registri di stato civile della sentenza di divorzio passata in giudicato, per la donna non è così.

L’art. 89 del codice civile stabilisce un divieto temporaneo di nuove nozze (c.d. lutto vedovile) successivamente al divorzio per l’ex coniuge di sesso femminile.

La norma, infatti, stabilisce che la donna può contrarre matrimonio solo dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio.

Ci si chiede allora, perché il legislatore ha previsto questa disparità tra l’uomo e la donna? La ratio di tale divieto consiste nel voler evitare il rischio di dubbi sulla paternità di un eventuale figlio.

Esistono delle eccezioni al divieto previsto per la donna di risposarsi dopo il divorzio?

La norma prevede però alcune eccezioni, in particolare sono esclusi dal divieto:

  • i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all’articolo 3, n. 2, lettera b) della legge sul divorzio (quindi, se prima sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero sia stata omologata la separazione consensuale ovvero sia intervenuta separazione di  fatto quando la separazione di fatto stessa sia  iniziata  almeno  due  anni prima del 18 dicembre 1970);
  • i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all’articolo 3, n. 2, lettera f) sempre della legge sul divorzio ovvero qualora il matrimonio non sia stato consumato e
  • nei casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi.

Il Tribunale può autorizzarmi a risposarmi dopo il divorzio?

L’art. 89 c.c. stabilisce altresì che il matrimonio possa essere autorizzato dal Tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, nel caso in cui sia inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta la sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. In tal caso, contro il decreto, notificato agli interessati e al pubblico ministero, potrà essere proposto reclamo con ricorso innanzi alla Corte d’Appello nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione. La corte deciderà con ordinanza non impugnabile emessa in camera di consiglio.

Se non viene proposto reclamo nel termine previsto, il decreto acquisterà efficacia.

In ultimo, la norma stabilisce che il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata.

Cosa succede se non si rispetta il divieto previsto dall’art. 89 c.c.?

L’art. 140 c.c. stabilisce che, nel caso in cui la donna si risposi senza rispettare il divieto previsto dall’articolo 89, la stessa, l’ufficiale che celebra il matrimonio e l’altro coniuge verranno puniti con la sanzione amministrativa da euro 20 a euro 82.

Il mancato rispetto del divieto, pertanto, non invaliderà il matrimonio, comportando come abbiamo visto soltanto una sanzione in capo ai coniugi e all’ufficiale.

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